La montagna sulla carta
La “letteratura di montagna” è un tipo di lettura duro, aspro, misterioso e magico. Gli scrittori di montagna sono persone particolari, in genere non amano la sovraesposizione per presentare in giro la propria opera, quindi non troppe tappe per librerie italiane non troppo grosse e affollate, interviste il minimo indispensabile, per non parlare delle ospitate in radio o in tv. Contano i giorni in cui potranno ritornare nelle loro valli.
Da un po’ di anni le storie di montagna sono tornate di moda grazie a un uomo classe 1950, Mauro Corona. Abitante di Erto del Friuli in provincia di Pordenone, luogo d’origine di famiglia, si è fatto conoscere nel 2001 quando ha vinto il Premio Bancarella con il libro “La fine del mondo storto”. Scrittore fuori dagli schemi, non si è mai concesso tanto al pubblico, ma ai lettori è piaciuto subito, diventando un simbolo dell’intellettuale di montagna. Passa parte dell’anno in una baita a cui ci si arriva solo a piedi dopo una mezza giornata di cammino, in cui non ha l’accesso ad internet e in cui scrive le bozze dei suoi libri amano. Spesso viene invitato nei talk televisivi di cui accetta l’invito per far sentire la sua voce riguardo i temi che gli stanno più a cuore, usa il tono polemico e rassegnato di colui che ne ha viste e sentite troppe ma che si sente in dovere di dire ancora una volta la sua. Famoso per la sua perenne bandana in testa e per il suo barbone disordinato, oltre che scrittore è alpinista, scalatore e uno degli scultori del legno più apprezzati.
Scrive romanzi e racconti in cui la natura fa da padrona con la sua bellezza e la sua forza e in cui i protagonisti sono le favole montagna, le leggende, i boschi, i torrenti, gli animali, fra i suoi libri più apprezzati ci sono “Storie del bosco antico”, “I misteri della montagna” e “Il canto delle manére”. E’ in uscita il suo nuovo lavoro scritto a quattro mani con l’amico Luigi Maieron “Quasi niente” (Editore Chiarelettere). Si tratta di un dialogo intenso e appassionante in cui i due amici affrontano storie e pensieri sul vivere semplice, su persone che non hanno voluto essere inglobate dalla frenesia e dall’ambizione volendo vivere l’esistenza in modo essenziale e tranquillo. Una filosofia di vita che viene dal passato senza nostalgia.
Se Corona è un uomo di montagna di nascita, Paolo Cognetti, che all’anagrafe potrebbe esserne il figlio, è un cittadino che ha ritrovato sé stesso sui monti. Milanese del 1978 è uno dei più talentuosi scrittori di racconti in Italia e a novembre dello scorso anno ha pubblicato “Otto montagne”, protagonista Pietro e le sue scoperte di ragazzino: l’amore per la montagna, il rapporto con il padre e l’amicizia con Bruno. E’ un caso letterario ancora nei primi posti delle classifiche dei libri più venduti. In piena crisi dei trent’anni Cognetti si rifugia in montagna per cercare di mettere un po’ d’ordine nella sua vita e da quel momento la sua vita trascorrerà per molti mesi all’anno in montagna. Fa conoscenza con la gente del posto, si avvicina ai lavori manuali che in città non esistono e macina centinaia di chilometri vagabondando per le valli. La solitudine non è una nemica, anzi << dentro la solitudine c’era un tesoro nascosto per me che è la scrittura. Mi era stata tolta, non so quando, o forse è più giusto dire che si era prosciugata come una vena d’acqua durante una lunga siccità, e a un certo punto, mentre facevo questa vita lassù, ricominciò a sgorgare >>. La montagna gli ha cambiato la vita, fonte di ispirazione non solo per l’ultimo lavoro ma anche per il racconto dell’esperienza stessa con “Ragazzo selvatico” (Ed. Terre di Mezzo).
Ultimamente scrive articoli per il supplemento culturale del quotidiano La Repubblica alla domenica, se vi interessa leggerli potete andare anche sul suo blog (che aggiorna solo se non è in giro per montagne…) www.paolocognetti.blogspot.it